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Capitolo 1
Direzione culturale coloniale e sistema educativo

I gravi problemi che affliggono il Mozambico contemporaneo hanno le loro radici più profonde nei cinque secoli di colonizzazione portoghese. Anche in questo paese come nel resto dell'Africa, la presenza europea ha significato distorsione e distruzione di delicati processi socioeconomici e culturali locali e ostacolo a un ulteriore sviluppo consono alle necessità della popolazione.1 La divisione sociale del lavoro si è incarnata nella divisione tra razze, ha opposto colonizzati e colonizzatori ed ha fatto sì che lo sviluppo degli uni divenisse la negazione di quello degli altri. La stessa dinamica ha caratterizzato la storia politica, economica, sociale e culturale del paese.

Lo studio del periodo coloniale fornisce degli strumenti utili alla comprensione delle scelte effettuate dal governo mozambicano dopo l'indipendenza e dal Frelimo negli anni della lotta di liberazione nazionale. Aiuta a comprendere il carattere innovativo di alcune esperienze e i loro limiti. L'origine del cambiamento e delle resistenze alle trasformazioni può essere meglio compresa se si analizza come la contraddizione tra colonizzatori e colonizzati si sia espressa in campo educativo. L'antagonismo tra educazione attraverso il lavoro ed educazione attraverso il non lavoro si è presentato in un primo momento come contraddizione tra non scuola e scuola2 e successivamente tra scuola di lavoro e scuola di non lavoro.

a) L'antagonismo tra scuola e non scuola nella formazione sociale coloniale

A differenza di ciò che è avvenuto nelle aree d'influenza di altri paesi europei, il sistema scolastico coloniale ha costituito in Mozambico una possibilità formativa solo per una minima parte della popolazione. Durante quattro secoli il colonialismo portoghese, caratterizzato dal traffico di schiavi e dallo sfruttamento indiscriminato delle materie prime, si è sostenuto esclusivamente sulla forza.

Gli ideologi dell'epoca hanno presentato la colonizzazione come un'opera eminentemente culturale iniziata sin dal XV secolo:

«La colonizzazione è il metodo per trasportare la civilizzazione dal fuoco dove essa risplende verso lontane regioni che vivono nell'anarchia e nella violenza ed hanno assoluto bisogno che essa arrivi per pacificare odi e ribellioni, come un arcobaleno in un cielo scuro di tempesta. [...] La colonizzazione richiede la coesione di questi tre fattori: il politico, l'economico, l'educativo. Due sistemi essenzialmente sono stati usati nella colonizzazione: quello della penetrazione pacifica e quello della conquista militare. Questo secondo sistema è stato chiamato da alcuni "sistema eroico" con il suo spettacolare corteo di spedizioni militari ed altre operazioni del genere [...]».3

Sono innumerevoli gli scritti di questo tenore, siano essi di economisti, storici o educatori. Manuel Ferreira Rosa, Direttore generale dell'educazione dell'Oltremare scriveva:

«Sin dagli inizi i portoghesi hanno cercato il convivio con gli abitanti di questi lontani lidi per:

"a. convertirli al cristianesimo, curando in primo luogo la salvezza delle anime;

b. trasmetter loro l'uso della lingua nazionale che conduce all'integrazione di una patria comune;

c. istruirli"».

Hanno cercato in altre parole di "liberare i nativi dal loro degradante primitivismo sostituendo alla loro tradizionale e rudimentale cultura quella più vasta e diversificata della metropoli". [...] Nello slancio per raggiungere questi obbiettivi espliciti o taciti, i missionari hanno accompagnato le armate, ardenti apostoli della rivelazione evangelica e primi maestri del leggere, scrivere e calcolare in lingua portoghese».4

Gli atti hanno smentito le parole. Esistono peraltro molti studi storici, politici e socioeconomici che mostrano i reali obbiettivi della colonizzazione portoghese ed i suoi effetti.5

In realtà solo nella fase di trasformazione in senso capitalistico dell'economia del paese è sorta la necessità di gettare le basi di un apparato scolastico che formasse la classe dirigente portoghese e diffondesse tra colonizzatori e colonizzati una cultura di legittimazione della dominazione. Così al momento della sua massima espansione, nel 1974, il sistema educativo inglobava poco più di mezzo milione di alunni su di una popolazione di dieci milioni di abitanti. Ed è per questo che al momento dell'indipendenza il tasso di analfabetismo si aggirava intorno al 94%. La percentuale del Pil che il governo coloniale destinava all'educazione era la più bassa di tutta l'Africa — secondo Eicher e Orivel nel 1974 era lo 0,95% contro il 2,29 dell'Angola, il 5,16 della Tanzania, il 4,27 della Nigeria o il 2,38 del Portogallo, il 5,09 della Francia e il 5,23 dell'Italia6 — e riguardava essenzialmente le zone di insediamento dei coloni, zone urbane e costiere. Il resto del paese era quasi completamente sprovvisto di scuole.

In Mozambico, come era avvenuto già in Occidente all'epoca della grande industria, la scuola come istituzione educativa separata dalla produzione nello spazio e nel tempo è nata in funzione delle necessità di formazione di una élite, in un contesto caratterizzato dall'opposizione tra lavoro manuale e intellettuale. Il sistema scolastico coloniale è nato tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX per preparare i coloni alla direzione politica ed economica del paese, anche in conseguenza delle esigenze indotte dalle risoluzioni della conferenza di Berlino che nel 1884/85 riconosceva il possesso, alle potenze europee, solo dei territori effettivamente occupati.

Il progetto coloniale richiedeva l'omogeneità e la coesione ideologica dei suoi protagonisti, di provenienza socioeconomica e culturale assai eterogenea. Così è nata la scuola, ed è stata basata su di un'educazione attraverso il non lavoro, staccata dalla società e dalla produzione, finalizzata alla riproduzione della classe dominante.

I mozambicani, destinati in maggioranza a fornire lavoro manuale a basso prezzo alle miniere dei paesi vicini, allo sfruttamento agricolo del paese e alla costruzione delle infrastrutture necessarie al progetto coloniale, vincolati al lavoro forzato e alle colture obbligatorie, esclusi dalla scuola, hanno continuato a vivere il processo educativo nelle modalità tradizionali. Nella educazione tradizionale la formazione dei giovani, fatta eccezione del breve intervallo dei riti di iniziazione, era intrecciata alla vita della comunità e degli adulti. Non esisteva uno spazio e un tempo dedicato esclusivamente alla trasmissione culturale ed un altro esclusivamente alla produzione, né vi erano degli adulti qualificati esclusivamente ad una compito o all'altro. Si trattasse di beni o di cultura, produzione e fruizione erano inseparabili.

Questa «non scuola» era caratterizzata dall'unione di educazione e lavoro, giovani e vecchi, società e formazione proprio come la scuola dei coloni era caratterizzata dalla loro separazione. Non affronterò qui l'analisi dell'educazione tradizionale in Mozambico perché su questo tema non esiste ancora uno studio sistematico ed approfondito. Se il governo mozambicano vorrà creare un sistema educativo che risponda alle caratteristiche ed alle necessità della sua popolazione non potrà esimersi dall'affrontare seriamente lo studio di questa realtà che, pur modificandosi nel tempo, è rimasta viva sino ad oggi.

b) La contraddizione nel sistema scolastico coloniale tra scuole di non lavoro e scuole di lavoro

La colonizzazione dell'«oltremare» portoghese è avvenuta essenzialmente attraverso la coercizione statale, cioè l'intervento dell'esercito e dell'amministrazione coloniale. In seguito alle cosiddette campagne militari di «pacificazione», tra il XIX e il XX secolo l'amministrazione aveva espulso i contadini dalle terre migliori e aveva imposto loro il pagamento di una tassa monetaria individuale. Li aveva costretti al lavoro forzato nelle piantagioni delle compagnie monopolistiche istallate nel territorio e obbligati alla monocultura. Nelle regioni meridionali li reclutava per le miniere del Sud Africa e della Rhodesia. In tutto ciò lo Stato coloniale faceva da intermediario tra la forza lavoro mozambicana ed il capitale portoghese e internazionale.

In questa realtà i contadini, che costituivano la grande maggioranza della popolazione, perdevano la possibilità di organizzare e decidere della loro produzione ed erano costretti a svolgere compiti estranei alle loro necessità. Perdevano il prodotto del loro lavoro ma anche una cultura rurale trasmessa attraverso i secoli, costituita di conoscenze del loro ambiente, del ciclo agricolo, dell'organizzazione tecnica della produzione e di abilità che fino ad allora avevano permesso loro di dominare il ciclo produttivo e garantirsi la sopravvivenza.

Le autorità coloniali vedevano con diffidenza la scolarizzazione dei mozambicani. Avrebbe significato metterli in grado di pianificare la produzione a proprio vantaggio e avrebbe potuto creare fermenti di rivolta. Era anche considerato pericoloso fornire ai neri delle qualifiche che li ponessero in concorrenza con gli europei. Così si esprimevano le autorità:

«Tra gli indigeni ve ne saranno certamente molti con una accentuata tendenza per le arti e gli offici. Nonostante ciò non sarebbe conveniente incoraggiarli a dedicarsi a queste occupazioni perché si correrebbe il rischio di condannarli a una vita di difficoltà e di miseria giacché non avranno la possibilità di esercitare attività nel ramo artistico ed industriale. In queste con- dizioni si predispongono ad un accentuato spirito di rivolta. [...] La colonizzazione inglese ha tratto risultati molto perniciosi da questa impostazione. Ha favorito esageratamente la formazione di un gran numero di persone con preparazione e conoscenze superiori alle necessità del loro ambiente ed è arrivata fino all'assurdo di collocarli, politicamente, sullo stesso piano degli stessi cittadini della metropoli. [...] Conviene invece educare l'indigeno per farlo divenire un collaboratore utile e cosciente dell'opera coloniale».7

Solo quando negli anni Trenta il salazarismo si è impegnato a sostenere e consolidare il capitale portoghese nelle colonie, il sistema educativo si è rivolto, sia pur in misura assai ridotta, agli «indigeni». La coercizione statale si era rivelata assai costosa e inefficace nel mantenere il dominio delle colonie. L'imposizione dell'egemonia culturale della «metropoli» veniva vista come un indispensabile complemento dell'intervento statale. La scuola per i mozambicani mirava alla sottomissione ideologica e culturale della manodopera più che alla sua formazione tecnica e professionale. Costava meno imporre lo chibalo (cioè il lavoro forzato, fonte di accumulazione di plusvalore assoluto) ad una forza lavoro resa docile e rassegnata da un'ideologia di legittimazione della dominazione, che imporlo solo con la coercizione. L'insegnamento del leggere, dello scrivere o dei rudimenti di una professione divenivano il veicolo di una cultura della sottomissione, che insegnava il disprezzo per le tradizioni locali e l'accettazione acritica per tutto ciò che venisse dalla metropoli.

c) Il ritratto dei colonizzati tracciato dai coloni

La scuola creava nei colonizzati un'immagine di se stessi funzionale al ruolo che occupavano nella divisione del lavoro. Vi si insegnava che la gerarchia sociale era il risultato della volontà soprannaturale e dell'ereditarietà biologica e il potere politico la manifestazione di un ordine metafisico. Secondo la dottrina di Salazar e di Caetano ogni classe doveva rispettare la sua gerarchia interna, e in questo ambito contava il merito. Voler superare questi limiti sarebbe stato uno sforzo contro la natura e contro Dio ed avrebbe creato instabilità nella vita di ognuno e anarchia e sofferenza sociale.8 La rassegnazione e l'accettazione della propria posizione sociale si addicevano al comportamento di un buon cristiano e di un buon cittadino. La rivolta era disobbedienza al volere divino, e lo Stato, sua manifestazione terrena, aveva il dovere di farlo rispettare. Questa ideologia totalitaria, non molto diversa dalla filosofia che ha ispirato i regimi totalitari dell'Europa tra le due grandi guerre, identificava gerarchia sociale e razziale. A chi deteneva il potere essa attribuiva le capacità di direzione, creatività, iniziativa, organizzazione, responsabilità. Queste qualità legittimavano il dominio. Passività, pigrizia, incapacità di raziocinio scientifico e astratto, incapacità di autogoverno invece erano le caratteristiche attribuite agli africani. E legittimavano la loro sottomissione. Il nero, per definizione, era considerato puerile:

«"Bambini e selvaggi hanno entrambi un'intelligenza pratica, di homo faber più che di homosapiens. Sia i bambini che i non civilizzati sono più portati per il concreto, il maneggevole, l'intuitivo, l'asistematico. Hanno enormi limiti nel pensiero astratto, logico, speculativo. [...] In questa intelligenza pratica, il pensiero, impregnato di ingredienti magici, è dissociato dall'azione" [...] La scuola per essi deve essere basata "quasi esclusiva- mente sull'uso delle mani"».9

Negli anni Cinquanta sono stati introdotti in Mozambico i «test di intelligenza generale». Come unità di misura del comportamento intelligente venivano prese le caratteristiche psicologiche e culturali del gruppo sociale dominante. Come in molte altre occasioni anche qui i test sono stati usati per giustificare la discriminazione sociale e razziale. Fornivano argomenti pseudoscientifici a sostegno della tesi che la posizione subordinata dei neri nella società fosse un'inevitabile conseguenza della loro inferiorità intellettuale, di natura ereditaria.

Antonio Augusto, capo dei «Servizi di psicotecnia del Mozambico» sosteneva, in un congresso tenuto nel 1956 a Coimbra, di aver verificato applicando i test, che «il livello intellettuale medio dei bambini indigeni era molto inferiore a quello dei bambini europei». In base ai test aveva costruito il grafico qui riportato (figura 1).10

Secondo il grafico un «indigeno di 11 anni avrebbe avuto un livello intellettuale inferiore a quello di uh bambino di Lisbona di 8 anni. Sulla base dei test l'autore si sentiva autorizzato ad affermare che:

«Considerando lo stato semiselvaggio degli indigeni la cui civilizzazione deve obbedire alle leggi dell'evoluzione e tenendo presente che non conoscono la lingua portoghese, si imponeva la necessità di un'organizzazione speciale dell'insegnamento primario per l'indigeno, che lo iniziasse alla civilizzazione e alla lingua portoghese [...] La frequenza simultanea dei bambini europei e dei bambini indigeni sarebbe pregiudiziale a entrambi».

Il sistema scolastico discriminatorio veniva così presentato come una risposta naturale e inevitabile a necessità, tradizioni e capacità diseguali. La scuola per l'homo sapiens era bianca, urbana, laica, coltivava il pensiero, le scienze, il saper dire a scapito del saper fare. La scuola per l'homo faber, nero, lavoratore manuale, rurale, era religiosa e pratica. Entrambe mutilavano la personalità dei loro alunni privandoli di uno sviluppo completo che integrasse pensiero e azione, saper pensare e saper fare, saper dire e saper essere, scienza e tecnica.

Figura 1. Livello intellettuale medio dei bambini indigeni ed europei

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

Fonte: M.D. Belchior, Evolução politica do ensino em Moçambique, in Moçambique. Curso de Extensão Universitaria, Universitade tecnica, Instituto superior de ciencias sociais e politica ultramarina, Lisboa 1964–65.

La teorizzazione dell'inferiorità del nero, espressione di un'ideologia razzista era uno strumento di dominazione. Il colonizzato veniva definito essere di seconda categoria in funzione del suo colore. In base a ciò il processo di alienazione era condotto in modo che i mozambicani, ridotti alla passività, non riuscissero a immaginare possibilità alcuna di liberazione e divenissero anzi essi stessi diffusori della teoria della rassegnazione e strumento del sistema coloniale.11

L'impegno dedicato dal governo coloniale alla distruzione della cultura locale veniva ratificato giuridicamente con l'istituzione della figura dell'«assimilato», di colui cioè che dimostrava di aver rotto i legami tradizionali e di essersi adattato alla lingua e alla cultura portoghese. Costui avrebbe potuto accedere ad alcuni posti dell'amministrazione e godere di alcuni diritti civili, mentre al resto della popolazione, «gli indigeni», non veniva riconosciuto alcun diritto. Nel 1950, su circa 5,7 milioni di neri, solo 4.349 avevano lo statuto di «assimilati». Solo i figli degli assimilati erano ammessi nelle scuole coloniali. In base all'articolo 60 dello «Statuto missionario» l'insegnamento «specialmente dedicato agli indigeni» consisteva in un corso elementare di 3 anni alla fine del quale, dopo un esame, veniva rilasciato un diploma, indispensabile per divenire assimilati.

d) Lo Statuto missionario e il Concordato

Nella ricerca di complementarità tra dominazione coercitiva e direzione culturale, lo Stato coloniale plasmava un sistema educativo dualistico che esprimeva e riproduceva le contraddizioni della formazione sociale mozambicana. 

Il governo manteneva in prima persona la formazione della classe dominante attraverso la gestione delle scuole oficiais, laiche, statali, concentrate esclusivamente dove l'insediamento bianco lo giustificasse. Scuole urbane, scuole di «non lavoro» con personale, mezzi ed edifici assai migliori di quelli delle scuole rurali, destinate alla popolazione nera. Giacché il sistema ufficiale aveva come suo obiettivo la formazione della classe dirigente, il curricolo della scuola elementare era concepito in funzione del proseguimento degli studi nel liceo. Aveva un carattere «generale e disinteressato» di preparazione ai cicli successivi. Tutto l'insegnamento era pensato in funzione di studenti di lingua materna portoghese che vivessero in un ambiente socioeconomico e culturale stimolante e agiato. I licei erano localizzati nelle zone di maggior insediamento dei coloni. Le scuole tecniche, che formavano i quadri medi per l'amministrazione e l'apparato produttivo, erano distribuite più omogeneamente in tutto il paese perché ammettevano, sia pur in misura assai ridotta, anche studenti neri. La rete scolastica dei licei e delle scuole tecniche al momento dell'indipendenza è illustrata nelle due relative cartine (figure 2 e 3).

Lo Stato, nei confronti dei colonizzati, conservava per sé la funzione di dominazione diretta e l'esercitava con la forza, mentre delegava la direzione culturale alla Chiesa cattolica. L'unità e la complementarità tra dominazione diretta e direzione culturale veniva sancita dal Concordato tra Stato e Chiesa nel 1940 e dallo «Statuto missionario» nel 1941. Quest'ultimo, stabiliva che da allora in avanti lo «ensino indigena», creato nel 1930, fosse affidato esclusivamente al personale religioso e ratificava così una prassi già consolidata.

Con la legislazione scolastica del 1941 il governo portoghese si prefiggeva «la perfetta nazionalizzazione12 e moralizzazione degli indigeni e l'acquisizione (da parte loro) di abitudini e attitudini per il lavoro, in armonia con i sessi, le condizioni e le convenienze delle economie regionali; [...] la moralizzazione, l'abbandono dell'ozio e la preparazione dei futuri lavoratori rurali [...]». L'«ensino indigena» di conseguenza avrebbe dovuto essere essenzialmente nazionalista e pratico.13

Nello «ensino indigena» la religione era il principale contenuto dell'insegnamento. Come ha mostrato nel suo studio Monica, è stato caratteristico del salazarismo considerare che, sia nella metropoli che nelle colonie, la scuola per le classi subalterne dovesse «inculcare virtù» piuttosto che fornire un addestra- mento professionale.14 A questo scopo l'insegnamento religioso era considerato il più appropriato.

Mentre per i figli dei coloni il percorso scolastico era di 11 anni (4 elementari + 7 di liceo), per i neri era di 14. Questi ultimi dovevano frequentare, prima del ciclo elementare, i 3 anni dell'«ensino de adaptação» (detto anche «ensino rudimentar»). Esso si rivelava, di fatto, un ulteriore ostacolo alla loro scolarizzazione. Mondlane ha descritto come ciò avvenisse.

Figura 2. Licei (1973-74)

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

Fonte: J. Moure, O professor em Moçambique no tempo colonial, in «Jornal do Professor», ministerio da Educação e cultura, Maputo, ano II, set.-out. 1982.

Figura 3. Scuole industriali e commerciali

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

Fonte: idem.

«Lo "ensino de adaptação", equivalente al giardino d'infanzia, è destinato, in teoria, a familiarizzare i bambini africani con la lingua portoghese e con i rudimenti della letteratura, scrittura e calcolo per portarli, all'inizio della scuola primaria, al livello dei bambini portoghesi. Tuttavia in molte regioni i figli dei mulatti e degli asiatici sono stati obbligati a frequentare lo "ensino rudimentar" nonostante fossero cresciuti in un ambiente di lingua portoghese e potessero essere considerati allo stesso livello dei bambini portoghesi. [...] Dato che i 13 anni sono il limite massimo per essere ammessi nella scuola primaria, un gran numero di bambini restano esclusi».15

Sempre secondo Mondlane l'entrata nella scuola primaria dei bambini africani era ritardata da due ordini di fattori. Il primo risaliva all'organizzazione del lavoro nell'agricoltura familiare. I bambini dai 7 ai 12 anni tradizionalmente si dedicavano alla pastorizia. Generalmente verso i 12 anni subentrava un fratello più giovane e il più grande poteva iniziare la scuola. Il secondo fattore era l'alto indice di ripetenze dovuto, soprattutto nei primi anni di scuola, all'insegnamento in portoghese, una lingua estranea all'esperienza della maggior parte dei bambini mozambicani. Secondo Belchior tutti gli africani durante il primo ciclo scolastico ripetevano almeno una volta.16 Così in genere non concludevano lo «ensino de adaptação» prima dei 12 o dei 14 anni e non potevano quindi iscriversi alle elementari.

Il dualismo del sistema scolastico coloniale si manteneva anche nei livelli successivi all'insegnamento primario. Mentre dalle scuole oficiais i figli dei coloni transitavano direttamente al liceo e di qui all'università, la maggior parte dei mozambicani che frequentavano le scuole «indigene» non superava i primi tre o quattro anni di scolarizzazione. Quei pochi che proseguivano continuavano a frequentare un sistema scolastico di second'ordine, costituito prevalentemente da scuole professionalizzanti e da seminari. Nel 1966-67 il 70% degli africani che frequentavano le scuole secondarie studiava nelle scuole tecnico-professionali.

Per rafforzare la dominazione ideologica nei territori d'oltremare il governo portoghese si serviva anche dei seminari cattolici. I sacerdoti neri di origine contadina erano utilizzati come mediatori tra il loro ceto di origine ed il colono. Lo stesso avveniva con gli insegnanti formati nelle scuole magistrali per neri. Gli uni e gli altri inconsapevolmente assumevano il ruolo di funzionari dello Stato coloniale e di mediatori con l'economia. La concezione del mondo, diffusa dalla Chiesa attraverso il clero locale nel contatto con i semplici si traduceva così in rassegnazione e passività. Il governo portoghese manipolava le convinzioni popolari per ottenere, a costi infinitamente minori, gli stessi effetti che avrebbe ottenuto con la forza.

I seminari esercitavano una forte attrattiva sui giovani mozambicani perché rappresentavano per loro l'unica possibilità di continuare gli studi dopo la scuola primaria. Si presentava no, in contrapposizione al sistema scolastico laico, dove la discriminazione era sostenuta dalla legge, come un organismo democratico, anche se paternalistico. Al loro interno, il figlio di un contadino o di un artigiano — se intelligente e capace, se duttile abbastanza da lasciarsi assimilare dalla struttura ecclesiastica, per sentirne il particolare spirito di corpo, e la validità degli interessi presenti e futuri dello Stato cui la Chiesa si era vincolata con il Concordato — poteva, teoricamente, continuare gli studi fino all'università di Teologia, poteva divenire cardinale e papa.

Proprio nei seminari si è formata gran parte dell'attuale ceto dirigente del Mozambico ed anche il nucleo che negli anni Sessanta ha dato origine al Frelimo. La gioventù istruita ha potuto disporre di strumenti culturali che gli hanno permesso di prendere coscienza delle situazioni di ingiustizia e rimettere in discussione la realtà che la circondava. Si è verificato così anche in campo educativo un processo dialettico che ha prodotto risultati contrari agli obiettivi perseguiti dall'istituzione scolastica. Il sistema educativo, che avrebbe dovuto mantenere e riprodurre il sistema sociale, formava invece chi l'avrebbe contestato.

Dagli anni Trenta fino all'indipendenza il sistema educativo coloniale è stato oggetto di varie riforme. Nessuna di esse però ne ha alterato sostanzialmente la natura discriminatoria. Anche l'abolizione legislativa della distinzione tra scuole per bianchie scuole per neri del 1964, contemporanea ad una serie di altre iniziative destinate a migliorare l'immagine della colonizzazione portoghese sia all'interno del paese che all'estero, per controbilanciare l'influenza ideologica degli incipienti movimenti di liberazione nazionale e le critiche espresse dalle Nazioni Unite, non era che un cambiamento di facciata. Come era già avvenuto per l'abolizione formale del lavoro forzato, dello statuto giuridico dell'indigeno e dell'assimilato, la riforma educativa non avrebbe apportato modificazioni sostanziali al dualismo del sistema che, abolito giuridicamente, veniva riprodotto da meccanismi di carattere socioeconomico e culturale. Anche dopo la riforma, gli stessi fattori che impedivano l'accesso dei neri alla scuola, ostacolavano il proseguimento degli studi a coloro che fossero riusciti a terminare le elementari. Nel 1966-67 su 444.983 africani scolarizzati in Mozambico, 439.979 frequentavano le elementari. Nella scuola secondaria i neri rappresenta- vano appena l'1% del totale della popolazione scolarizzata. Di questo 1%, come già accennato, il 70% frequentava scuole tecniche e professionali e seminari e solo il 29,8% il liceo. Date queste premesse, non può stupire che i neri che frequentavano l'università si potessero contare letteralmente sulla punta delle dita: su 614 studenti erano soltanto 9 (figura 4).17

È stato detto perciò, e a ragione,18 che nonostante l'espansione relativa dell'insegnamento elementare e tecnico verificatosi negli anni Sessanta e Pafricanizzazione dei manuali, gli obiettivi e la struttura del sistema non differivano sostanzialmente da quelli auspicati per l'educazione degli «indigeni» da una delle principali figure della colonizzazione portoghese, Mouzinho de Albuquerque, nel 1881:

«Ciò che meglio possiamo fare per educare e civilizzare l'indigeno, consiste nello sviluppare praticamente le sue attitudini per il lavoro manuale e trame vantaggio per lo sfruttamento della provincia».19

e) II lavoro manuale nelle scuole missionarie

Le scuole frequentate dai mozambicani dedicavano una parte considerevole del loro tempo al lavoro manuale. La documentazione e le testimonianze che ho potuto raccogliere mostrano che la produzione era organizzata, abbondante e variata. Riporto qui i passi di alcune interviste che ho raccolto tra persone che hanno studiato nelle missioni prima dell'indipendenza:

«Ho studiato tra il 1956 e il 1959 a Namarroi, fino alla terza classe rudimentale. Mentre una classe studiava, l'altra andava nel campo. C'era un "mandador" (comandante) che ci dirigeva nel lavoro, ed era aiutato da un monitore. Allora il raccolto era abbondante: arachidi, fagioli, cavoli, riso, banane. Avevamo anche 20 capre. Eravamo noi a pestare nel mortaio il cibo e a cucinarlo. Ma c'era un capo che controllava tutto. La metà di quello che producevamo veniva venduto».

Figura 4. Piramide delle età: popolazione totale e popolazione scolarizzata (urbana e rurale). Censimento 1980

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

Fonte: Conselho coordenador do recenseamento, Educaçào populaçào e escolarizaçào, I Recenseamento geral da populaçào de 1980, Ccr/Dne, Maputo 1984.

«Ho studiato nel centro di Mitucue dal 1956 al 1961. Il "monitor" distribuiva il lavoro e le zappe e controllava che venissero restituite tutte alla fine della giornata. Producevamo mais, fagioli, manioca, piselli, grano e riso. Noi non venivamo messi al corrente di quanto denaro fruttasse la produzione. Avevano il mulino che ci risparmiava la fatica di dover pestare i prodotti nel mortaio. Nei giorni di festa veniva distribuito un sacco di riso in più, diviso tra ragazzi e ragazze. C'erano molti animali, non saprei dire quanti. Maiali, capre, animali da cortile. Il materiale scolastico lo dovevamo comprare noi, mentre i vestiti e una coperta ci venivano dati. Nella missione gli studenti avevano il compito di pulire il porcile e gli animali, e di lavorare nell'agricoltura. Per le costruzioni c'era invece un muratore che preparava i mattoni e le tegole. Anche gli alunni lavoravano con lui».20

Dolores, una studentessa che frequentava l'università di Maputo nel 1982, mi ha raccontato che nella Missione di Gecua, frequentata da lei tra il 1970 e il 1974,

«gli alunni erano divisi tra quelli che pagavano e quelli che non pagavano il collegio. Erano separati sia nel refettorio che nei dormitori. La produzione era praticata solo da quelli che non pagavano, come modo per retribuire alla missione quello che consumavano. Mentre questi alunni lavoravano nei campi gli altri giocavano o studiavano. Fra i due gruppi non vi era convivio. Si trovavano insieme solo durante le lezioni. Dei 500 alunni interni circa 200 partecipavano alla produzione».

La produzione degli studenti nelle missioni era destinata alla loro alimentazione e a quella del resto del personale. L'eccedenza veniva venduta e contribuiva a integrare le finanze dell'istituzione. Il vestiario degli studenti, il materiale didattico e gli stipendi degli insegnanti venivano pagati, appunto, con la vendita dell'eccedenza della produzione. L'impegno finanziario dello Stato nelle scuole missionarie era quasi nullo. La produzione scolastica era organizzata come una vera azienda agri- cola e gli utili servivano per il suo funzionamento e per nuovi e differenziati investimenti. L'opera di catechizzazione e il moltiplicarsi delle missioni traevano un sostegno finanziario considerevole da questa organizzazione.

A queste testimonianze che evidenziano soprattutto i risultati produttivi del lavoro nelle scuole missionarie se ne contrappongono altre che lo presentano come il corrispettivo, nella scuola, del lavoro forzato a cui erano sottoposti gli adulti.21 Una ricostruzione di questo periodo dovrebbe tener conto di entrambi i punti di vista.

Dopo l'indipendenza, il desiderio di superare velocemente un passato di sofferenze ha portato a combattere gli aspetti più deleteri del sistema scolastico coloniale. Tuttavia a volte ha anche impedito di analizzare quella realtà nella sua complessità, di capirne la natura contraddittoria e di individuare, accanto agli elementi negativi, anche quelli positivi. Ha anche impedito di distinguere tra la produttività del lavoro e le sue finalità. È un dato di fatto che la produzione nelle scuole missionarie sia stata assai diffusa ed abbia garantito spesso l'autosufficienza alimentare alle missioni e alle scuole nonché margini di lucro. Il criterio per valutare il lavoro degli studenti non può quindi essere quanto si produceva ma perché e per chi e in che condizioni lo si faceva. La produttività del lavoro e il suo risultato economico, o il risvolto pedagogico, di aver cioè introdotto il lavoro nelle scuole, non costituiscono un valore di per sé, indipendente dalle finalità della produzione. Apparentemente nelle scuole missionarie i ragazzi lavoravano per finanziare i propri studi; mangiavano e dormivano nella missione, ricevevano libri, quaderni e insegnamento. Ma il lavoro produttivo andava solo apparentemente a lor beneficio. Serviva in realtà a liberare lo Stato dalle spese di formazione di un ceto sociale intermedio necessario alla riproduzione dell'apparato coloniale. Ricadeva così sui mozambicani il costo della formazione dei funzionari dell'apparato destinato a soffocare la loro stessa indipendenza ed espropriarli della loro identità socioculturale. Nonostante la propria origine e i propri interessi essi avrebbero lavorato per il progetto coloniale. Così figli di contadini e di artigiani, dopo aver studiato e pagato con il loro lavoro gli anni di studio, venivano a operare come «Pide» (polizia politica), «capataz» (capi squadra), amministratori, «chipaio» (polizia locale), o interpreti, o come preti o insegnanti.

Come agenti dell'amministrazione coloniale avevano il compito di fare rispettare le leggi. Come supervisori della produzione controllavano la forza lavoro. Come funzionari dell'ideologia legittimavano il regime. Con il compito di assicurare coercizione e consenso facevano da tramite tra gli stranieri e i loro connazionali. I giovani mozambicani che studiavano producendo erano persi per la loro gente. «Assimilati», simili ai coloni perché ne avevano assorbito la cultura, divenivano i funzionari dello Stato e della ideologia coloniale a sostegno della cultura dominante contro la cultura subalterna.

Con il Concordato la Chiesa diveniva strumento di questo progetto. Si può dire, con le parole di uno dei tanti missionari che dissentivano dalla compromissione della gerarchie ecclesiastica con il regime portoghese, «la Chiesa è stata la migliore realizzatrice per conto del governo della "lusitanizzazione" e dell'integrazione delle colonie».22

Va riconosciuto che la scuola missionaria ha avuto il merito di introdurre la produzione nella scuola. Questa misura agiva tuttavia come elemento di discriminazione, perché riguardava solo la popolazione nera ed era quindi uno dei principali elementi di differenziazione con le scuole laiche, destinate esclusivamente ai bianchi. La produzione si rivelava anche un elemento di discriminazione all'interno dell'insegnamento missionario stesso, tra studenti paganti e non paganti. Nel sistema scolastico coloniale producevano solo gli alunni neri, e tra essi, solo i neri meno abbienti.

È vero che nelle scuole missionarie il lavoro era organizzato efficientemente e aveva una alta produttività. Le interviste hanno messo in evidenza tuttavia che gli studenti non avevano alcun controllo sull'utilizzazione dei prodotti o dei proventi di tale attività. Beneficiavano di parte della produzione attraverso il vitto, l'alloggio e, a volte, il vestiario e il materiale didattico. Tuttavia questi vantaggi non vanno confusi con la finalità globale della produzione scolastica. Dalle testimonianze raccolte traspare inoltre l'inesistenza di una valenza pedagogica nella decisione di introdurre la produzione nelle scuole: la finalità principale non era esclusivamente di carattere economico, ma anche di carattere politico-sociale.

f) Alcune considerazioni

Questa descrizione sommaria dell'educazione coloniale induce a formulare alcune considerazioni.

Il sistema educativo, in quanto strumento di direzione culturale statale, ha avuto una relazione di complementarità con la dominazione politica portoghese.

La contraddizione tra borghesia coloniale e contadini mozambicani si è manifestata in un primo tempo come opposizione tra scuola e non scuola. La scuola dei coloni è stata sinonimo di non lavoro, mentre l'educazione per i mozambicani attraverso il lavoro, nel contesto tradizionale, è stata sinonimo di non scuola. Mentre inizialmente il colonialismo rinunciava ad educare i colonizzati abbandonandoli agli influssi educativi tradizionali, col salazarismo delegava al clero l'educazione degli indigeni, mantenendola comunque assai limitata. L'opposizione origina- ria tra «scuola e non scuola» veniva così rafforzata dalla contraddizione, interna al sistema educativo, tra scuole oficiais e scuole indigenas, scuole laiche e scuole missionarie, liceo e scuole professionali. Scienza e tecnica, pensiero e azione, teoria e pratica, ozio e lavoro, produzione e consumo, venivano divisi tra scuole per bianchi e scuole per neri. Sia la contraddizione tra scuola e non scuola che quella tra scuole per bianchi e scuole per neri hanno espresso l'antagonismo tra educazione attraverso il non lavoro, per i coloni, e l'educazione attraverso il lavoro, per i colonizzati. La prima era rivolta a formare i ceti dirigenti e intermedi in vista della trasformazione in senso capitalistico delle colonie portoghesi. La seconda doveva ritardare lo sviluppo sul terreno economico, politico, sociale e culturale dei mozambicani e contribuire a impedire la nascita di una piccola borghesia rurale africana, concorrenziale a quella portoghese. Il carattere superstizioso di molte credenze tradizionali, l'estraneità della scuola al tessuto socioeconomico e culturale del paese, l'insegnamento metafisico e l'esclusione dell'insegnamento scientifico dalle scuole missionarie impedivano lo sviluppo delle forze produttive nel settore agricolo familiare. Impedivano altresì lo sviluppo dei mozambicani sul terreno culturale, sociale e politico.

L'alleanza tra Stato e Chiesa ha realizzato l'unità di opposti sistemi educativi. Nonostante la loro apparente contraddittorietà «scuola» e «non scuola», scuole oficiais e scuole indigenas hanno avuto un ruolo complementare nell'organizzazione, nel rafforzamento e nella riproduzione del colonialismo in Mozambico.

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