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Capitolo 2
L'educazione nelle «zone liberate»
dal Frelimo prima dell'indipendenza

Mentre la scuola coloniale sosteneva il progetto di dominazione con la diffusione di una cultura estranea alla realtà locale e la creazione di uno strato di «assimilati», essa produceva anche le contraddizioni che avrebbero portato alla sua distruzione. Insieme ad una «coscienza alienata», si andava formando anche l'embrione di una nuova coscienza. La cultura coloniale e l'organizzazione politica, economica e sociale dei territori d'oltremare infatti entravano in contrasto con le necessità, gli interessi e le aspirazioni dei giovani «acculturati». Alcuni di essi, più sensibili, cominciavano a rendersi conto dell'insanabile contrasto tra le promesse di uguaglianza e democratizzazione con cui il regime cercava di guadagnare credibilità all'interno delle colonie e all'estero, e le condizioni di discriminazione in cui viveva l'intera popolazione. Si creavano così agli inizi degli anni Cinquanta le premesse per la nascita, nel 1962, del Fronte di liberazione del Mozambico.

Nel 1964 il Fronte iniziava una «guerra di liberazione nazionale» e sottraeva progressivamente alla dominazione portoghese diverse regioni. Con l'estendersi di questi territori, chiamati «zone liberate», venivano anche definendosi all'interno del Fronte due linee antagonistiche rispetto al significato da attribuire alla liberazione. Chi avrebbe dovuto gestire il nuovo potere? Con che finalità e con quali metodi? Verso la fine degli anni Sessanta la linea detta «rivoluzionaria», rappresentata tra gli altri dal primo presidente del Frelimo, Mondlane, e da Samora Machel, prevaleva su quella «neocoloniale» e affermava una concezione secondo cui la guerra di liberazione era parte di una «strategia totale» di emancipazione sociale. Nel suo programma il Frelimo si proponeva una «rivoluzione democratica e popolare» che lo impegnava in campo politico, militare e anche nella trasformazione dell'economia e della società civile. La distruzione dell'egemonia statale coloniale nella sua duplice espressione di dominazione coercitiva e di direzione culturale era considerata una condizione necessaria alla trasformazione dei rapporti di produzione e allo sviluppo delle forze produttive. Il Fronte sosteneva, differenziandosi da altri movimenti o partiti politici africani, che l'oppressione coloniale sarebbe stata sostituita da nuove forme di sfruttamento se la liberazione politica e militare non fosse stata perseguita insieme a quella economica e culturale. Da questa concezione derivava l'importanza attribuita all'elaborazione di una nuova cultura e alla realizzazione di un nuovo sistema scolastico.

a) L'unione dello studio con il lavoro nell'ideologia del Frelimo e la concezione educativa di Samora Machel

La concezione educativa elaborata dal Frelimo nel periodo della guerra di liberazione è documentata da una serie di discorsi di Samora Machel.1 La «rivoluzione» è concepita come un processo che ha le radici nella contraddizione tra forze produttive e relazioni di produzione,2 ma anche e soprattutto nella relazione tra direzione politica, militare e ideologica di un'avanguardia e coscienza e azione delle masse. Lo sviluppo è considerato il risultato di una lotta su diversi piani — l'economico, il politico, il militare, il sociale e il culturale — necessaria sia prima che dopo la presa del potere.

Il processo di liberazione nazionale e sociale e di sviluppo economico e culturale avrebbe potuto iniziare e crescere secondo il Frelimo, se l'opposizione del popolo al colonialismo a livello economico e politico fosse divenuta cosciente attraverso la «offensiva ideologica e organizzativa» di un'avanguardia. Una nuova ideologia, parte di una nuova cultura e quindi di un nuovo modo di comportarsi, di pensare e di sentire,3 fatta propria dalle masse sarebbe divenuta una «forza materiale immensa» e avrebbe condotto il popolo a rovesciare l'ordine antico, a costruire una nuova società e ad «affrontare qualsiasi nuova aggressione».4 «Senza teoria non c'è pratica rivoluzionaria» riprendeva da Lenin Machel, e considerava il rinnovamento delle coscienze imprescindibile per un progetto di sviluppo. Ogni sforzo avrebbe rischiato di fallire se non si fosse fondato su di una trasformazione culturale.5 Le forze produttive, d'altra parte, non avrebbero potuto svilupparsi senza la trasformazione dell'uomo, responsabile anche del cambiamento delle relazioni di produzione. Il sottosviluppo, considerato espressione dell'opposizione tra lavoro e proprietà privata dei mezzi di produzione, andava affrontato, secondo il Frelimo, con una strategia globale, una rivoluzione allo stesso tempo strutturale e sovrastrutturale. La coscienza alienata andava sostituita da una nuova cultura. Essa avrebbe permesso nel cammino per lo sviluppo e l'indipendenza di identificare le soluzioni, favorevoli agli interessi popolari, delle contraddizioni espressione dell'antagonismo tra sfruttatori e sfruttati. Altre contraddizioni erano sorte e «camuffavano» quella fondamentale. Contraddizioni tra razze, tribù, regioni. Tra politici e militari. Tra intellettuali e produttori. Tra lavoro manuale e intellettuale, studio e lavoro, professore e alunno, prepotenza e passività, uomo e donna, medici e infermieri, e così via.

Machel insisteva sulla necessità di affrontare questi problemi senza rimandarne la soluzione a dopo l'indipendenza perché, se trascurati, avrebbero potuto consolidarsi e distruggere il nuovo potere. Sosteneva che fosse necessario «combattere il coccodrillo quando ancora piccolo vive sulla riva del fiume, perché se si aspetta a distruggerlo quando è grande e si rifugia nelle acque profonde, si rischia di dover affrontare difficoltà e sacrifici inutili».6 Oltre alla guerra contro la potenza coloniale, alla lotta politica e culturale all'interno del Fronte contro la linea «neocoloniale», andava aperto un conflitto all'interno di ogni individuo. Un conflitto culturale per distruggere le trincee del nemico più insidiose, «le posizioni reazionarie nelle nostre teste».7

Machel proponeva che gli apparati politici e militari del Frelimo fossero strumenti culturali e che gli apparati culturali fossero anche politici e militari. Nell'esercito si doveva combattere, ma anche educare e produrre. Nella scuola delle «zone liberate» si voleva educare, ma anche produrre e combattere. L'esercito, avanguardia del Fronte in un momento storico in cui il partito non esisteva ancora, doveva assumerne la funzione educativa verso il popolo, affrancarlo dall'egemonia culturale coloniale e tribale ed al tempo stesso combattere con la forza la dominazione politica e militare. L'educatore stesso avrebbe dovuto essere educato e lottare con se stesso per superare le lacerazioni che esprimeva la vecchia egemonia, unificando l'impegno politico con quello militare, l'attività produttiva e quella culturale.

La scuola veniva definita «la base da cui il popolo prende il potere». Si proponeva di superare le separazioni create dalla divisione capitalistica del lavoro, di intrecciare studio e produzione e di integrarsi nella comunità. Veniva chiesto a insegnanti e alunni delle scuole delle «zone liberate» di essere al tempo stesso dei produttori, dei combattenti e dei militanti impegnati nella concretizzazione della democrazia nell'insegnamento. L'insegnamento e l'aiuto mutuo, la cooperazione tra insegnanti e alunni, la gestione collettiva e democratica della scuola, la lotta all'autoritarismo e alla burocrazia, il legame teoria-pratica, erano i temi ricorrenti affrontati dal Machel negli incontri con studenti e insegnanti. Egli constatava l'esistenza di una contraddizione tra oggettività e soggettività: «La lotta e l'instaurarsi del potere popolare si sviluppano più rapidamente della coscienza e della capacità dei quadri».8 Sosteneva quindi che sia prima che dopo la liberazione mantenere o perdere il potere sarebbe dipeso anche dalla capacità di trasformare una coscienza «in ritardo» rispetto alle trasformazioni politiche, che esprime la sopravvivenza dell'egemonia culturale coloniale, in contrasto con la nuova direzione. All'educazione chiedeva di accelerare la trasformazione delle coscienze in modo da attuare il progetto del Frelimo.

L'ideologia del Frelimo si colloca all'interno della tradizione filosofica del materialismo storico e dialettico e considera il lavoro attività creativa ed essenza della natura umana. Sin dalle origini del Fronte vi sono stati dei membri che facevano riferimento al marxismo. Durante la lotta di liberazione nazionale essi studiavano gli scritti di Lenin, di Mao e dei vietnamiti. Tuttavia insistevano sul fatto che i concetti e le analisi marxiste hanno assunto rilevanza per loro nel confronto con le esigenze del paese. Il primo presidente del Fronte, Eduardo Mondlane, scriveva a questo proposito:

«II marxismo-leninismo si è impiantato tra noi come prodotto della nostra lotta e del dibattito interno al Frelimo stesso. Sottovalutare ciò significa privarlo della forza vitale che esso possiede in Mozambico e ridurlo a "slogan" e stereotipi astratti, a pallide copie di realtà estere. Il "materialismo storico" deve essere studiato in riferimento alla società mozambicana e alle circostanze specifiche della sua evoluzione storica [...]. Questi studi non vanno fatti in modo astratto, indipendentemente dalla realtà mozambicana».

E Samora Machel: «Gli africani debbono usare il marxismo, non il marxismo usare gli africani».9

Per Mondlane come per Machel la filosofia della prassi doveva fornire un'indicazione di metodo, non dei princìpi assoluti. Questa presa di posizione veniva ricordata recentemente in un testo prodotto dall'università di Maputo. Nelle conclusioni del volume si leggeva tra l'altro:

«Non c'è solo una "linea giusta" nella tradizione marxista. Il marxismo è una scienza che cresce, come tutte le scienze, e il dibattito continua [...]. Inoltre il "marxismo-leninismo" in alcuni casi è divenuto, per opera di coloro che occupano il potere, più una razionalizzazione egemonica delle loro posizioni che una vera scienza e uno strumento di liberazione. L'indice più rivelatore di questo tipo di "marxismo congelato" è la perdita di importanza della relazione dialettica tra gli elementi».10

Il concetto di «lavoro», quello di «intreccio di studio e lavoro» e di conseguenza anche la concezione educativa del Frelimo si sono sviluppati, durante il periodo della guerra di liberazione nazionale, dall'incontro tra l'analisi della situazione concreta del paese e la filosofia della prassi. Allora il materialismo dialettico era un metodo per affrontare la specificità del Mozambico.

Nella proposta politica del Fronte, sintetizzata dai discorsi del presidente Machel, il lavoro ha occupato un posto centrale. Machel iniziava col mostrare il carattere negativo che il lavoro ha assunto nel Mozambico coloniale: lavoro da schiavi prima, lavoro forzato in seguito, lavoro nelle miniere per salari di fame, lavoro divenuto proprietà d'altri estranea al lavoratore, perciò stesso dannoso e funesto. La realizzazione del lavoro appariva come privazione, menomazione del lavoratore. Riporto alcuni tra i passaggi più significativi, a questo proposito, di un discorso pronunciato da Machel prima dell'indipendenza:

«Per molti il lavoro appare come un rito, una necessità, qualcosa che siamo obbligati a fare per mangiare e vestire. È evidente che la produzione deve soddisfare le nostre necessità biologiche fondamentali, ma è necessaria per liberarci dalla miseria, necessaria per conoscere, dominare e utilizzare la natura [...]. Nonostante ciò la produzione nella zona del nemico è sfruttamento, mentre nella nostra zona la produzione libera l'uomo. Tuttavia si tratta della stessa zappa, lo stesso uomo, lo stesso gesto di aprire la terra. Perché allora questa differenza? [...] Un contadino produce del riso nella regione di Gaza, ma a che serve la sua produzione? Per farlo mangiare e soddisfare le necessità della sua famiglia? Forse, in una certa misura. Ma soprattutto con la sua produzione paga le imposte coloniali, imposte che finanziano la polizia che lo arresta, lo stipendio dell'amministratore che lo opprime, imposte per comprare le armi dei soldati che domani verranno a espellere quello stesso contadino dalla sua terra, imposte per pagare i trasporti e l'installazione dei coloni che occuperanno le terre del contadino. Il contadino produce per pagare le imposte e così con il suo lavoro finanzia l'oppressione di cui è vittima. [...] Ha bisogno di molte cose che deve acquistare nel negozio. Per comperare ha bisogno di denaro e il denaro non cade dal cielo. [...] Così vende le sue cose per prezzi bassi e compra per prezzi quattro o cinque volte più alti. Con un sacco di cotone si fabbricano molti metri di cotone, molte magliette. Tuttavia, quando vendiamo un sacco di cotone, il denaro che se ne riceve in cambio non basta per comprare una maglietta. Il nostro sudore quindi beneficia il commerciante, non noi. [...] Queste sono le forme meno crudeli di sfruttamento. Altre sono peggiori. C'è la vendita dei lavoratori nelle miniere [...]. Non è chi lavora, chi suda sulla terra, chi rischia la vita nella galleria della miniera chi beneficia del lavoro [...]».11

Per il Fronte il lavoro, manifestazione della vita, era stato ridotto dal colonialismo in espropriazione della vita, ed era stato svuotato del suo carattere di attività libera e consapevole. Il plus-lavoro degli uni era contrapposto al meno-lavoro, al lavoro non produttivo, all'ozio degli altri:

«Nella zona del nemico il lavoratore con il suo lavoro da ricchezza a chi non lavora e guadagna per sé la miseria. Nella zona del nemico, il lavoro manuale, il lavoro che crea ogni cosa, è dei poveri, per i "bruti", i "selvaggi", gli "analfabeti". Quanto meno si lavora quanto più si è educati. Quanto meno si lavora più si è civilizzati [...]. In ogni luogo si insegna il disprezzo per il lavoro manuale [,..]».12

Il Frelimo sosteneva che i mozambicani avrebbero eliminato questa situazione di rinuncia alla loro attività vitale solo mediante il superamento dei rapporti di produzione che caratterizzavano il colonialismo. Avrebbero potuto soddisfare le proprie esigenze economiche, sociali e culturali se avessero posto fine alla divisione del lavoro che rende ogni uomo incompleto e se si fossero appropriati della totalità degli strumenti di produzione e delle forze produttive. Il Fronte proponeva di ricomporre il lavoro e la ricchezza, la direzione e l'attività, la proprietà dei mezzi di produzione e i produttori con un programma di cooperativizzazione delle campagne.

La tesi samoriana dell'unione dello studio con il lavoro non è quindi riducibile nell'ambito delle consuete ipotesi di un lavoro con destinazione meramente professionale o con funzione didattica di acquisizione e verifica delle nozioni teoriche, o con fini morali di educazione del carattere e di formazione di un atteggiamento di rispetto del lavoro e di chi lavora. Comprende tutti questi aspetti ma li trascende.

«A volte alcuni si sorprendono che nelle nostre scuole (delle zone liberate), gli alunni dedicano molte ore alla produzione. [...] Costoro considerano forse che è assurdo, e che sarebbe stato meglio che gli alunni dedicassero questo tempo alla lettura di libri, o alle lezioni. [...] Impariamo anche nella produzione. [...] Le nostre idee non cadono dal cielo come la pioggia. [...] Possiamo studiare molto, leggere molto, ma a cosa serviranno queste tonnellate di conoscenze se non le portiamo alle masse, se non produciamo? Se teniamo i semi di mais nel cassetto potremo mai raccogliere la spiga? [...] Un registratore potrà citare a memoria molti passi di opere scientifiche, di opere rivoluzionarie, ma nella sua vita intera non creerà una sola pagine nuova. [...] La sua intelligenza rimarrà sterile come quel seme chiuso in un cassetto. Per sviluppare le nostre conoscenze e far progredire il lavoro e la produzione dobbiamo continuamente applicarle. [...] D'altra parte non basta applicare. È necessario anche studiare. L'intelligenza senza pratica rimane sterile. La pozza senza intelligenza, senza la conoscenza, rimane cieca. Un elefante è più forte di un uomo, ma siccome un uomo è intelligente può costruire una macchina chetrasporta più di un elefante».13

In molte altre occasioni Machel ha ripreso il tema del lavoro e della conoscenza, della teoria e della pratica. Per esempio nel 1976, quindi poco dopo l'indipendenza, in un discorso all'università diceva:

«II lavoro produce una crescita permanente delle conoscenze umane che si incorporano nell'uomo stesso e così, attraverso una successiva accumulazione di sapere, vengono a costituire la scienza. [...] La scienza è la somma del sapere derivato dalla pratica e sviluppato attraverso il lavoro nel processo di produzione. [...] Rifiutiamo la divisione artificiale della filosofia borghese tra teoria e pratica. Essa è frutto di una concezione che disprezza il lavoro manuale e lo riserva agli sfruttati, e sopravvaluta il lavoro intellettuale, che il capitalismo riserva a una casta considerata superiore».14

Sul lavoro Machel fondava tutta la problematica di emancipazione dell'uomo e del suo popolo, e considerava necessario superare le condizioni storiche che ne facevano un elemento negativo. Non sarebbe stata certamente la scuola da sola o il legame dello studio con il lavoro all'interno della scuola che avrebbero condotto alla meta dell'uomo pienamente sviluppato e al superamento dell'alienazione. Tuttavia dato il rapporto dialettico tra scuola e società il legame tra studio e lavoro avrebbe concorso al più ampio processo di ricomposizione di lavoro e ricchezza.

Mondlane e Machel, e molti altri nel Fronte che si identificavano nelle loro posizione, avevano dato per assodato che il marxismo avrebbe fornito delle indicazioni di metodo, non dei pricìpi assoluti. D'altronde né in Marx né in Engels si possono trovare schemi e modelli di una nuova società. Durante la lotta di liberazione nazionale il Frelimo adottava questa impostazione anche per l'educazione. Considerava che come non esistono leggi economiche universali, ma leggi caratteristiche dei diversi modi di produzione, così non esistono dei princìpi pedagogici universali. Le esperienze, i modelli, le teorizzazioni elaborate in periodi o paesi differenti fornivano senza dubbio un utile elemento di confronto e di riflessione, non delle risposte alle specifiche esigenze del paese.

La principale indicazione di metodo che il Fronte ricavava dal materialismo dialettico era di dedurre l'esigenza di intrecciare lo studio con il lavoro dalle stesse contraddizioni della produzione sociale della sua epoca. Non sempre questo programma, adottato dal Frelimo nella prima fase della sua esistenza, si è tradotto in pratica. In alcune occasioni, soprattutto dopo l'indipendenza, la scelta programmatica di un'educazione integrale è sorta più da un'esigenza astratta, utopica, di riprodurre modelli esteri, che da un'attenta analisi delle necessità del paese e dalla progettazione del sistema educativo su tali basi.

b) Le scuole primarie delle zone liberate15

L'apertura di nuove scuole primarie e l'organizzazione dell'alfabetizzazione e dell'educazione degli adulti erano tra le prime azioni che il Frelimo intraprendeva quando liberava una nuova zona del paese. Al momento della sua fondazione, nel 1962, nel suo programma si era impegnato a «liquidare l'educazione e la cultura colonialista e imperialista per sviluppare l'istruzione, l'educazione e la cultura a servizio della liberazione del popolo mozambicano».16 Nelle zone liberate si assisteva ad una trasformazione qualitativa delle istituzioni formative ed alla loro crescita numerica. Le scuole nascevano da un duplice ordine di necessità, di carattere strutturale e insieme sovrastrutturale. Un nuovo modo di pensare, sentire ed agire era necessario per riorganizzare produzione e consumo e migliorare le condizioni di esistenza. Abitudini e concezioni tradizionali, che bloccavano l'iniziativa e la creatività, venivano messe in discussione per la prima volta. La diffusione di conoscenze scientifiche, sia pur elementari, permetteva l'introduzione di nuovi metodi di lavoro, che aumentavano la produzione anche in vista dei crescenti bisogni della situazione di guerra.

L'espandersi e l'acutizzarsi del conflitto militare a sua volta poneva la necessità di dotare l'esercito popolare di strumenti quali il leggere, lo scirvere e il calcolare, indispensabili per l'uso di armamenti moderni e per l'adozione di una strategia complessa. Per rispondere a queste esigenze erano nate alcune centinaia di scuole all'ombra di un albero. Questa loro caratterizzazione era il risultato della scarsità di mezzi e della necessità di adeguarsi alla situazione di guerra dove delle costruzioni fisse avrebbero costituito un facile bersaglio per il nemico.

«Quando c'era un attacco — mi ha raccontato un insegnante — evacuavamo la scuola con tutto il materiale, persino con le lavagne, per poter continuare i corsi senza perder tempo, ovunque avessimo dovuto rifugiarci».

In queste scuole, denominate «Centros pilotos», tutti gli alunni oltre che nello studio erano impegnati varie ore al giorno nella produzione agricola e artigianale, nella costruzione dei loro rifugi antiaerei, nell'alfabetizzazione degli adulti. La carne per la loro alimentazione proveniva o dall'allevamento di animali da cortile o dalla caccia. Tra la scuola e gli abitanti della zona esisteva un rapporto di aiuto mutuo attraverso lo scambio di prodotti e di servizi. Insegnanti e studenti seguivano un addestramento militare, differenziato a secondo delle età, che li preparava ad affrontare le situazioni create dalla guerra. Gli insegnanti avevano, in molti casi, appena un anno di scolarità in più dei loro studenti. Alla crescente domanda d'istruzione il Frelimo faceva fronte in base al principio che chi aveva studiato doveva insegnare quello che sapeva a chi ancora non lo avesse potuto fare. Lavoravano in condizioni difficili. Fino al 1968 per esempio gli insegnanti erano del tutto sprovvisti di manuali su cui potersi orientare. Dei brevi corsi di formazione e dei frequenti incontri di riqualificazione dovevano supplire almeno in parte a questa situazione. Quelli che avevano maggior esperienza, in riunioni provinciali o distrettuali, davano chiarimenti agli altri sugli obiettivi, i contenuti e i metodi di ogni lezione del mese successivo, e insieme discutevano i problemi politici, sociali e militari che ognuno si trovava ad affrontare. Anche gli alunni non avevano libri né quaderni. La iniciativa criadora veniva chiamata in causa per far fronte alle difficoltà. Al posto della lavagna era utilizzato un pezzo di legno scuro. La mandioca secca sostitutiva il gesso e un disegno nella sabbia una carta geografica.

c) Le scuole secondarie

In campo educativo, come in campo militare, il Frelimo si appoggiava per la formazione dei suoi quadri a paesi amici come l'Algeria, la Cina o la Tanzania, e contava, oltre che sulle borse di studio offerte da vari paesi dell'Europa occidentale e dai paesi socialisti, sull'«Istituto mozambicano», creato in Tanzania, a Dar Es Salaam, nel 1963.

L'Istituto si prefiggeva di colmare il divario esistente tra la formazione dei giovani mozambicani ed il livello richiesto dai licei tanzaniani o dai corsi medi e superiori degli altri paesi ospiti. Per decisione del Frelimo gli studenti dell'Istituto andavano un mese l'anno nelle zone liberate e qui partecipavano ai diversi momenti della vita delle comunità contadine. Lavoravano nella produzione, trasportavano il materiale bellico o gli alimenti, alfabetizzavano gli adulti, partecipavano alla guerra. Lo scopo era, per il Fronte, di impedire che gli studenti si estraneassero dalla realtà del loro paese, dalla produzione e dalla lotta di liberazione. La stessa impostazione è stata mantenuta successivamente anche per gli studenti della scuola secondaria di Bagamoio, nata per sostituire l'Istituto mozambicano un anno e mezzo dopo la sua chiusura, avvenuta nel 1968. Gabriel Afonso Nhacuembe, nel 1982, mi ha raccontato un episodio significativo di quegli anni:

«Sono venuti in trenta, il 21 novembre del 1972, da Bagamoio al Centro pilota di Nangade. Dovevano lavorare all'alfabetizzazione degli adulti. Il giorno seguente alcuni di loro hanno chiesto di poter andare a lavarsi nel fiume Mtambe. Poi hanno steso il loro bucato all'aria. Non avevano esperienza di guerra. Non sapevano che per non essere scoperti dal nemico si dovevano stendere i panni sotto gli alberi perché non si vedessero dall'alto. Alle 11 sono venuti da Nangade due bombardieri diretti a Moeda. Hanno visto gli indumenti nel fiume. Allora hanno cominciato a volare ad un'altezza di 50 metri. Cercavano di vedere nella boscaglia da dove erano arrivati i ragazzi. Intanto noi ci eravamo rifugiati nelle trincee. In seguito sono arrivati gli elicotteri. Erano stati chiamati dai caccia via radio. Gli alunni del Centro pilota sono fuggiti nelle trincee verso la boscaglia. È così che si deve fare in quelle circostanze. Ma quelli di Bagamoio non erano abituati alla guerra. Così hanno tardato. I portoghesi hanno sparato, hanno bruciato le nostre cose e hanno portato i cani addestrati a cercare le persone. Un ragazzo di 16 anni di Bagamoio è morto mentre cercava di scappare dalla trincea verso la boscaglia. Si chiamava Januario Pedro».17

Nhacuembe commentava l'episodio di Januario Pedro criticando il distacco tra teoria e pratica nella formazione dei giovani delle scuole secondarie. La teoria diveniva sterile e la pratica inadeguata. Gli studenti, al confronto con la realtà, si perdevano. Le stesse considerazioni valevano sia per la produzione che per la guerra.

Nei centri educativi del Frelimo il rapporto di forze non è stato sempre a favore dell'innovazione e della democratizzazione. In alcune occasioni hanno prevalso concezioni, valori e comportamenti che hanno costituito un ostacolo al consolidarsi del progetto del Fronte. Tra le diverse crisi verificatesi nelle istituzioni educative, quella avvenuta nel 1968 nell'Istituto mozambicano di Dar Es Salaam tra i 160 studenti nella scuola secondaria può essere considerata la più grave. I giovani si opponevano alla direttiva di partecipare durante le vacanze scolastiche alle attività produttive, militari e educative nelle zone liberate. Manifestavano inoltre atteggiamenti di razzismo verso gli insegnanti bianchi. Consideravano anche naturale che i contadini dovessero produrre e combattere e loro unicamente studiare. Pensavano che, in cambio, gli studenti un giorno avrebbero guidato il paese indipendente. Il Frelimo sosteneva invece che se si formavano lontano dalla loro gente sarebbero divenuti dirigenti «contro» il loro stesso paese, non «per» esso. Il punto di vista dei giovani non offriva nessuna garanzia.

La posizione degli studenti coincideva con quella di una linea minoritaria che all'interno del Fronte sosteneva la necessità della separazione tra quadri «politici» e «militari», tra «dirigenti» e «diretti». Secondo questa fazione i contadini, analfabeti, dovevano combattere, e gli studenti dovevano dirigerli. La direzione del Fronte decideva quindi, nel 1968, contro questa tendenza, di chiudere l'Istituto. Un'anno e mezzo dopo apriva a Bagamoio una nuova scuola secondaria e insisteva sulla centralità del legame dello studio con la produzione e delle scuole con la vita del paese. Il comitato centrale del Fronte commentava così l'episodio dell'Istituto mozambicano:

«Alcuni mozambicani vogliono privilegi sia adesso che dopo l'indipendenza. [...] Ciò è all'origine, oggi, dell'atteggiamento della maggioranza degli studenti secondari dell'Istituto mozambicano. Vogliono studiare e allo stesso tempo vogliono l'indipendenza senza dover partecipare alla lotta per raggiungere questo obiettivo. Perché pensano che dopo l'indipendenza non saranno quelli che hanno lottato che governeranno bensì quelli che sono stati a studiare. I cosiddetti "intellettuali"».18

Nel 1982 Patricia Saul e Rui Fonseca, ricercatori dello «Instituto nacional de desenvolvimento da educaçào» (Inde), in uno studio retrospettivo, hanno considerato la crisi dell'Istituto come il risultato della sopravvalutazione dell'aspetto quantitativo della formazione rispetto a quello qualitativo. I programmi erano importati, principalmente dal Brasile. Gli obiettivi e i contenuti dell'insegnamento non erano stati messi in discussione. I princìpi del Fronte non erano stati interiorizzati dagli studenti, nonostante fossero stati chiaramente definiti nel I congresso. Per queste ragioni era prevalsa facilmente l'impostazione neocoloniale di cui era espressione un insegnante della scuola, padre Gwengere. Saul e Fonseca hanno sostenuto che dall'esperienza dell'Istituto mozambicano potevano essere tratti degli insegnamenti anche per l'attualità. Il primo è che l'enfasi eccessiva sull'aspetto quantitativo della formazione va a scapito della qualità. Il secondo che gli obiettivi di democratizzazione del Frelimo possono venire distrutti quando il principio del legame dello studio con il lavoro non viene interiorizzato e concretizzato.

d) Alcune considerazioni

Dopo l'indipendenza il governo del Mozambico ha insistentemente indicato l'esperienza della «lotta di liberazione nazionale» come punto di riferimento e di ispirazione per il nuovo sistema educativo. Si è verificata una diffusa tendenza a enfatizzare gli aspetti positivi di quel periodo e a dimenticarne invece le crisi e gli insegnamenti da trarne. Durante il periodo della lotta di liberazione nazionale il Frelimo non negava l'esistenza delle contraddizioni da cui era lacerata la pratica né giustificava la realtà esistente. Mirava invece ad accelerarne la trasformazione ricercando le opposizioni che la caratterizzavano e guidava l'azione verso il loro superamento. Anche la teoria politica e educativa non era né enfatica né propagandistica: rovesciando la tradizione del colonialismo era essenzialmente critica. I testi di Samora Machel documentano questa impostazione. La teoria pedagogica del movimento di liberazione sorgeva dalla sua pratica e si proponeva di migliorarla costantemente, trasformandola. Machel aveva in più occasioni sottolineato che riconoscere la contraddittorietà dei fatti significa aprire la strada alla loro trasformazione e che non è negando uno dei due poli della contraddittorietà del reale educativo, ma assumendola e superandola che può scaturire una genuina e consistente innovazione. Aveva scritto per esempio: «l'esistenza della contraddizione è un fenomeno naturale e inevitabile per il progresso».19

La sua posizione era d'altronde riconducibile alla filosofia della prassi secondo cui ciò che caratterizza il movimento dialettico è proprio la coesistenza dei due lati della contraddizione, la loro lotta e la loro fusione in una nuova categoria. Se si elimina invece solo il lato negativo della contraddizione, si elimina il movimento dialettico.

Chi fa un'analisi della realtà educativa delle zone liberate tende il più delle volte a non tener conto della interazione di componenti positive e negative. Come dell'educazione coloniale v'è la tendenza a tacere quei, sia pur pochi, aspetti positivi, dell'educazione nelle zone liberate vengono per lo più ignorati i momenti di crisi. Dall'analisi dei fatti risulta invece che anche nelle zone liberate si sono manifestate due tendenze. Una proponeva delle scelte educative che rispondessero innanzitutto alle esigenze di una piccola élite urbana. L'altra cercava di interpretare le esigenze dell'insieme della popolazione attraverso un intervento formativo inedito. Coloro che appartenevano al secondo gruppo ritenevano che i problemi non dovessero essere negati ma affrontati tempestivamente, prima che la loro pressione potesse spezzare le conquiste del movimento. La lotta tra vecchia e nuova direzione culturale ha portato, sia nelle zone liberate che nelle scuole della Tanzania, a episodi di rifiuto del lavoro produttivo, a manifestazioni di razzismo o di tribalismo, o al prevalere del «centralismo burocratico» su di una reale democrazia nella scuola. L'individualismo, la competitività, i complessi di superiorità e di inferiorità, la passività degli alunni o degli insegnanti, erano atteggiamenti che rappresentavano per il Frelimo una forza di distruzione morale non meno nociva della distruzione fisica operata dall'esercito coloniale. Il ritardo della trasformazione culturale rispetto a quella politica ed economica era considerato fatale allo sviluppo sia allora, sia in un futuro stato indipendente.20

Nelle zone liberate il rapporto del Frelimo con la popolazione può essere considerato un rapporto pedagogico di confronto permanente, che tendeva a riunificare teoria e pratica, coscienza e realtà, studio e lavoro. Né «descolarizzazione» e ritorno puro e semplice alle origini, né adozione del modello scolastico coloniale erano considerate risposte adeguate alle nuove necessità della popolazione. Nei «Centros pilotos» l'educazione diveniva un processo intenzionale, sistematico, organizzato ed intrecciato alla vita. Tra formazione e lavoro, tra educatori e comunità si instaurava un rapporto di unità e non identità che soppiantava sia la caratteristica identità tra i due termini dell'educazione tradizionale, sia l'opposizione che tra essi aveva creato l'educazione coloniale. La partecipazione alle attività produttive era considerata sia un fattore di educazione che un mezzo per contribuire alla produzione di beni sociali.

Le trasformazioni avviate sul terreno formativo erano viste come conseguenza di un processo esterno ad esso ma anche come condizione di un suo ulteriore sviluppo. La strategia del Fronte consisteva nel far precedere l'offensiva militare nelle zone dove avrebbe aperto un nuovo fronte di combattimento dall'intervento politico ed educativo. La guerriglia iniziava solo quando il Fronte aveva la certezza di essersi guadagnato il sostegno della popolazione. L'esperienza aveva mostrato che l'esercito popolare cresceva e riportava successo dove la gente comprendeva la necessità della guerra. I dirigenti del Frelimo sostenevano che l'esito politico e militare avrebbe potuto consolidarsi ed estendersi a nuove zone se il movimento di liberazione, divenuto dominante, non avesse trascurato di approfondire la sua egemonia culturale. Questo spiega l'attenzione dedicata alla scuola. L'alfabetizzazione degli adulti, inesistente nel periodo coloniale, è iniziata con il movimento di liberazione. Durante il periodo della «lotta di liberazione nazionale» il Fronte ha creato più di duecento centri educativi elementari in zone trascurate dalla rete scolastica coloniale. Dall'intento di abolire il dualismo tra scuole di lavoro e scuole di non lavoro, che caratterizzava il sistema educativo nelle regioni governate dal Portogallo, nasceva una via formativa nuova, unitaria, integrata nella vita e affidata alla responsabilità della comunità, caratterizzata dall' intreccio tra studio e lavoro. La nuova direzione culturale portava alla laicizzazione dell'insegnamento ed all'opposizione alla discriminazione razziale, tribale e sessuale.

L'educazione tradizionale era stata un processo informale.21 Fatti salvi alcuni momenti d'eccezione, quali i riti di iniziazione, era caratterizzata da un rapporto di trasmissione e appropriazione culturale non intenzionalmente organizzato. Le identità di educazione e lavoro, di educatori e comunità erano state una sua peculiarità.

Il sistema formativo coloniale aveva dato al rapporto pedagogico un carattere intenzionale, organizzato e sistematico. Aveva creato per un'elite uno spazio e un tempo educativo specifico, separato dal lavoro. Quando, con l'insegnamento missionario, sia pur in misura assai ridotta, si era aperto ai mozambicani, aveva separato al suo interno lo studio e la produzione così come al suo esterno aveva contrapposto la scolarizzazione e il lavoro. Aveva isolato il processo formativo dalla vita ed in questo modo aveva contrapposto l'insegnante, considerato l'unico detentore di cultura, agli alunni ed alla comunità educativa, che venivano deresponsabilizzati e puerilizzati.

Le scuole delle zone liberate hanno costituito il superamento dell'educazione tradizionale e coloniale, non la loro distruzione. Nelle scuole del Frelimo si è verificata la sintesi delle caratteristiche che contrapponevano i due cammini formativi. Spazi e tempi educativi si presentavano differenziati da quelli produttivi, non più separati e contrapposti. Ogni alunno partecipava sia allo studio che al lavoro. La scuola era distinta dalla vita della comunità e degli adulti. Vi era tuttavia integrata e intratteneva con essi un rapporto di scambio e di solidarietà di carattere economico, sociale, culturale, politico e anche militare. La responsabilità dell'intervento formativo era al tempo stesso del personale specificamente destinato ad esso e della collettività.

L'insegnamento principale di quel periodo risiede a mio avviso nella capacità di costruire il nuovo dal superamento dialettico del passato, non dalla sua negazione, cioè dalla sintesi degli aspetti positivi e dal rifiuto di quelli negativi.

L'analisi di questa esperienza induce a formulare un interrogativo cui si tenterà di fornire una risposta nei capitoli successivi. Quando il movimento sarà divenuto partito di potere in uno Stato indipendente, manterrà il confronto tra teoria e pratica che aveva caratterizzato l'esperienza del movimento di liberazione? La teoria e i princìpi nasceranno dall'esperienza o vi verranno imposti? Saranno stimolo all'innovazione o dogma e freno?

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